Comincia con questo post “Dietro le quinte”, uno spazio di storie e di approfondimenti dalla nostra pratica quotidiana in terapia della famiglia. Buona lettura!

Anche i terapeuti sono umani, e nella pandemia può accadere che un membro dell’équipe di terapia della famiglia sia momentaneamente impossibilitato ad essere presente in seduta (magari positivo senza essere ammalato, o comunque in quarantena a casa).

È così che può capitare di sperimentare ulteriori combinazioni di setting, per esempio con la famiglia e un terapeuta in studio mentre l’altro membro dell’équipe, in videochiamata online dallo studio di casa, partecipa da un computer poggiato sul tavolo della stanza di terapia.

Il monitor, piazzato in posizione tale da favorire per la coppia o la famiglia il contatto visivo e una buona ricezione della voce, può essere distante dal terapeuta fisicamente presente. Così si verifica la situazione singolare in cui il terapeuta in studio vede l’altro sul monitor, ma l’altro ha inquadrata solo la famiglia e non vede il collega.

Quella comunicazione, fatta soprattutto di sguardi e di segnali non verbali, che di solito avviene in studio fra i due terapeuti seduti fianco a fianco — o di fronte — diventa meno immediata, se non unidirezionale.

Se quello che stiamo raccontando vi sembra non immediatamente comprensibile, evidentemente vi dà la misura della complessità non solo dei livelli di osservazione in terapia della famiglia, ma anche delle combinazioni possibili fra i modi di utilizzare la tecnologia in studio. 

La situazione con un pezzo dell’équipe in studio e un altro a casa ricorda per certi versi quella in cui un terapeuta lavora nella stanza e l’altro, o il resto dell’équipe, segue dalla stanza di osservazione: questi ultimi vedono il primo lavorare, ma lui non li vede. Con la differenza, però, che nella situazione di cui stiamo parlando chi sta fuori può comunque conversare con la famiglia (ed è lui che non vede quello nella stanza, non viceversa!).

Se la coppia terapeutica non è abbastanza “rodata”, se non ha sviluppato quella facilità di interscambio nella conduzione della seduta, in una condizione del genere l’interazione tra i professionisti può diventare faticosa, i terapeuti possono perdere la connessione tra loro (non stiamo parlando di quella dell’adsl), sperimentare un senso di solitudine, non sentire più l’appoggio dell’altro, sentirsi impacciati nei turni di parola.

Di conseguenza i componenti della famiglia possono sentirsi disorientati nella comunicazione: rivolgersi al professionista vicino o a quello sul monitor, rispondere all’uno parlando con entrambi, volgere gli occhi verso l’uno e verso l’altro, insomma tutta questa “danza” di avvicinamenti e distanziamenti nella postura e negli sguardi, può diventare meno fluida, può diffondersi una percezione di sbilanciamento e di “vuoti”.

Al contrario, quando l’équipe ha una lunga e consolidata pratica di lavoro insieme, riesce ad improvvisare di volta in volta il copione conversazionale più utile. Ad esempio il professionista presente in studio può assumere un ruolo più attivo nella conversazione, l’altro può mettersi nella posizione di osservatore; e in qualunque momento può entrare nella conversazione senza timore di sovrapposizioni; oppure possono porsi in una posizione simmetrica in cui entrambi hanno uguale voce e spazio.

La curiosa asimmetria per cui uno è presente fisicamente e l’altro no, poi, offre l’opportunità di variare il ritmo e l’andamento della conversazione. Ad esempio, ancora più di quanto non accada quando sono seduti vicini, quello in studio può introdurre una sottolineatura di quanto si sta dicendo in seduta, rivolgendosi verso il monitor e, per esempio, domandando “tu che pensi di quello che ha appena detto X?”, oppure “sei d’accordo con quello che ho appena detto?”. 

Anche qui, avere sufficiente pratica di lavoro con l’équipe dislocata nella stanza accanto e collegata via telecamera, offre la capacità di giocare con i contesti, di muoversi fra più livelli di osservazione, di entrare e uscire dal proprio punto di vista e di interagire con un collega altrettanto impegnato in questo gioco di andirivieni.